
Agganciare le malattie ai week end è sanzionabile con il licenziamento. La Cassazione, con dispositivo di sentenza nr. 18678 del 4 settembre 2014, ha dato peso alle testimonianze dei colleghi secondo cui il dipendente prendeva pochi giorni di malattia, ma reiterati e costantemente agganciati ai giorni di riposo. Inoltre le assenze venivano comunicate all’ultimo momento in coincidenza dei fine settimana o dei turni di notte, creando malumori e difficoltà all’azienda che faceva fatica a trovare dei sostituti.
A seguito di sentenza nr. 18507 del 21 settembre 2016, la Suprema Corte ha confermato il licenziamento del lavoratore che, durante la malattia, è stato ripreso sul tetto della propria abitazione a svolgere lavori faticosi e ritenuti incompatibili con la patologia che aveva dato luogo alla sua prolungata assenza per malattia.
Nel caso di dipendente “pescato” nei periodi di assenza dal lavoro per malattia a svolgere attività lavorativa differente, il datore di lavoro può procedere al licenziamento non solo quando l’attività esterna svolta al di fuori dell’azienda sia per sé sufficiente a far presumere la fraudolenta simulazione della malattia, ma anche quando tale attività, valutata in base alla natura della patologia, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del dipendente. In tal caso si configura, infatti, da parte di quest’ultimo, una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Nel caso di specie, per quel che qui rileva, la Suprema Corte ha giudicato sulla base di un’indagine svolta da un investigatore privato.
Altro riferimento normativo, si rileva dalla Sentenza n. 13196 del 25 maggio 2017 della Suprema Corte che ha enunciato il licenziamento per giusta causa del lavoratore per assenza dal lavoro ed irreperibilità alla visita di controllo.